Lunedì, 13 Maggio 2024

Non credo di essere l’unico a ritenere che uno dei fondamenti della Riforma liturgica sia da ricercare nella costituzione Dei Verbum che ha voluto, a chiare lettere, sottolineare (come, forse, mai era successo nella bimillenaria storia liturgica della Chiesa), l'importanza assoluta della Parola di Dio nella Liturgia e quindi in tutte le celebrazioni...

di Tonino Zedda

Oggi la Parola di Dio, con l'introduzione della lingua parlata, rimane però purtroppo per molti fedeli, ancora lontana, estranea. È urgente una ripresa forte e convinta, che interpella soprattutto i presbiteri, della mistagogia cioè di un reale accompagnamento dei fedeli, una vera iniziazione, un cammino di conoscenza e di esperienza del mistero, non percorrendo le vie di un astratto intellettualismo, di un moralismo integerrimo, o di un estenuante cerimonialismo, ma imboccando quella via, cara alla migliore tradizione patristica, che per ritus et preces voleva introdurre i fedeli alla comprensione e all'esperienza del mistero stesso. Per questo è necessario che chi presiede e confeziona i misteri di nostra fede, conosca per primo il valore dei gesti che si compiono e dei segni e faccia risaltare la grande ricchezza di significati che essi rivestono per la fede, la vita e l'impegno missionario. Questo deve dare rilievo al senso di un'espressione che comunemente si ripete oggi, che riguarda il senso del mistero. Molti, infatti, lamentano che oggi le celebrazioni hanno perduto il senso del mistero. Voglio soffermarmi un istante su questo termine: mistero. Esso non significa qualcosa di arcano, come viene inteso da alcuni intellettuali che sentono la nostalgia del latino... Mistero non è l'inconoscibile, l'inaccessibile (magari per difendere un ruolo di prestigio o di potere), ma valorizzando i tempi di contemplazione e di silenzio, bisogna suscitare lo stupore, dal quale atteggiamento fondamentale nasce l'azione di grazie, la preghiera, in particolare quella eucaristica che esprime, attraverso le grandi opere compiute dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito, realizza la presenza del Signore Gesù crocifisso e risorto. Questa dimensione deve tener conto di alcune dinamiche che da esso discendonoverso il quotidiano per essere realizzate (incarnate) nella vita. Vorrei mettere in risalto l'importanza della testimonianza personale. Da questo punto di vista sono tanti i rischi legati alla ripetitività rituale che, inevitabilmente, portano a celebrazioni fatte in fretta, piatte, talvolta sciatte e banali che non accendono nel cuore di chi celebra la scintilla della carità, e perciò vengono vissute dai fedeli in modo freddo. Quello stare davanti che, come abbiamo detto, è il significato profondo del presiedere, esso presuppone un altro elemento non secondario: lo stare davanti ci rende testimoni, ed è questo uno dei fondamentali requisiti di una liturgia seria e comunicativa. I fedeli percepiscono immediatamente se crediamo in ciò che facciamo. Ho sempre in mente l'esortazione del Pontificale per l'ordinazione presbiterale: credi sempre in ciò che fai. L’atteggiamento del presbitero diventa allora uno specchio, facilmente leggibile da parte dell’assemblea, dell’intima e personale partecipazione al mistero celebrato che, lungi dall’essere un raccoglimento intimistico che estranea dall'assemblea, non può essere un atteggiamento esteriore e teatrale di chi presiede. L’uso maldestro di certi toni (retti), di cantilene, come anche di sguardi fissi nel vuoto, di gesti minimalisti, col travisamento del genere letterario e delle varie parti rituali, derivano di solito da una presidenza liturgica superficiale e perciò abbassano il tono generale della celebrazione. Chi mal presiede rischia di distruggere la celebrazione dall’interno.

 

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