Lunedì, 13 Maggio 2024

Per parlare del sacramento della Penitenza occorre, necessariamente, fare una premessa catechistica...

di Tonino Zedda

Per comprendere bene il significato ecclesiale di questo sacramento bisogna ricordare la nostra identità di cristiani: domandiamoci che effetti ha portato nella vita della Chiesa e di ciascun fedele il sacramento originario e fontale che è il Battesimo? Il Battesimo, oltre a cancellare tutti i peccati, ci ha fatto diventare figli di Dio e ci dispone a ricevere l’eredità e la gloria in Cielo; tuttavia in questa vita siamo continuamente esposti a cadere nel peccato: nessuno è esente dalla lotta contro di esso. Anche se lottiamo però ugualmente facciamo esperienza di cadere nel peccato. Gesù, nel Padre nostro, ci invita a dire: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ogni tanto, ma molte volte al giorno. San Giovanni, nella sua lettera, dice anche: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi (1Gv 1,8); e Paolo esortava così i primi cristiani: Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20). La chiamata alla conversione non è, quindi, diretta solo a coloro che ancora non lo conoscono, ma anche ai cristiani che hanno sempre bisogno di ravvivare la loro fede. La conversione nasce in noi dall’interno del nostro cuore. Non ci si può opporre al peccato se non con buone azioni evangeliche, con cui si manifesta il pentimento per il male fatto e si cerca di eliminare le conseguenze del peccato dalla nostra vita. In questo consiste la virtù della penitenza. La penitenza è un tentativo di riordino della nostra vita, un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato, un’avversione per il male e le cattive azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo, come ci ricorda il catechismo della Chiesa, essa comporta il desiderio di cambiare vita sperando nella misericordia di Dio e nell’aiuto della sua grazia.

poveri

La penitenza non è un’opera esclusivamente umana, un riordinamento interiore frutto di padronanza di sé, che mette in gioco tutte le molle della conoscenza personale e una serie di decisioni forti. La conversione è anzitutto opera della grazia di Dio che fa ritornare a Lui i nostri cuori. È Dio che dona ai suoi figli la forza per ricominciare. La conversione nasce dal cuore ma non rimane chiusa nell’intimo dell’uomo, si manifesta con opere esterne, mettendo in gioco la persona intera, anima e corpo. Il cristiano ha molti modi per mettere in pratica il desiderio della conversione. La Bibbia e i Padri insistono su tre forme: il digiuno, la preghiera e l’elemosina, che esprimono la conversione in rapporto a sé stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli altri. Per digiuno s’intende non solo la rinuncia moderata al cibo, ma anche tutto ciò che ci fa essere esigenti col corpo non dandogli qualche piacere per dedicarci a quello che Dio ci chiede per il bene degli altri e nostro personale. Per orazione possiamo intendere ogni applicazione delle nostre facoltà spirituali – intelligenza, volontà, memoria – allo scopo di unirci a Dio Padre nostro in un colloquio familiare e profondo. L’elemosina è non solo dare del denaro o altri beni materiali a chi ne ha bisogno, ma anche altri tipi di donazione: condividere il proprio tempo, assistere i malati, perdonare chi ci ha offeso, correggere chi ne ha bisogno, consolare chi soffre, e altre ancora. La Chiesa ci spinge alle opere di penitenza specialmente in alcuni momenti, che ci servano anche per essere più solidali con i fratelli nella fede. I giorni di penitenza nel corso dell’anno liturgico (ad esempio nella Quaresima, ogni venerdì in memoria della morte del Signore) sono momenti forti della pratica penitenziale della Chiesa.

 

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