Abbiamo chiesto il parere a un esperto di calcio nostrano, Vittorio Sanna, storico radio-telecronista del Cagliari per Radiolina e Videolina. Per chi ama il calcio e il Cagliari, Vittorio Sanna è un'istituzione, un mito. Devo dire la verità, l'avevo contattato senza troppa convinzione, pensando che non mi avrebbe risposto per i troppi impegni. Invece, dopo cinque minuti mi richiama: “Eccomi”.
Vittorio, per certi versi il Cagliari Calcio ricalca il sodalizio basco, è possibile un confronto con l'Athletic Club di Bilbao e con la sua filosofia sportiva?
L'Athletic, se vogliamo, è molto più integralista e severo nella selezione dei giocatori rispetto ad altre squadre. Rappresenta una identità nazionale all'interno di un'altra nazione (n.d.r. quella spagnola). È effettivamente un modello che finisce per essere ricordato facilmente da chi, come noi sardi, fa un discorso di appartenenza culturale e storica alla propria terra. Tanto è vero che lo stesso Cagliari, quando è arrivato il responsabile del settore giovanile Mario Beretta, ha parlato di modello Bilbao, secondo me per tranquillizzare in qualche modo noi sardi sul fatto che si sarebbe proseguito il discorso iniziato con la precedente proprietà. Una dichiarazione di intenti che non può che farmi piacere, però non c'è ancora una traccia concreta. Ora aspettiamo i fatti.
Quindi anche con l'ex presidente Cellino c'era un discorso di questo tipo?
Col settore giovanile di Matteoli, di fatto, si lavorava già esclusivamente con soli ragazzi del luogo. È un principio compatibile con l'idea di un Cagliari totalmente sardo che, anche se a me Massimo Cellino non l'ha mai manifestato, mi dicono era un obiettivo della precedente proprietà.
Possiamo pensare, in un prossimo futuro, a qualcosa di simile per la prima squadra oppure il modello Athletic non è riproponibile?
Diciamo che in questo momento se tu hai un giocatore al di sopra del rendimento calcistico della squadra, e questo comincia a fare gola a società che propongono cifre a cui è difficile resistere, vi sono grossi problemi a imbastire un discorso di questo tipo.
Un Nicolò Barella per esempio…
Esatto. Se si vuole costruire un modello Bilbao, un calciatore come Nicolò Barella, che fa parte del tuo settore giovanile, parte dell'identità del Cagliari, cresciuto dentro la tua società, sarebbe già un punto di partenza. Se invece hai un calciatore che è già in serie A e che può fare il leader dentro la tua squadra, ma tu prosegui nella logica di cedere i giocatori perché non riesci a trattenerli, stai di fatto rinunciando alla costruzione di un club con queste caratteristiche. Al di là della tua volontà, in un mercato come quello italiano, dove girano cifre sproporzionate, è difficile che una società come il Cagliari respinga un'offerta irrinunciabile. Per assurdo potresti allestire una squadra con giocatori di medio valore, che non ti chiede nessuno o che potrebbero ruotare nell'orbita di squadre del tuo stesso livello.
E oggi un undici tutto sardo che campionato farebbe?
Se fossero cresciuti tutti insieme, magari una serie A.
Quali giocatori ci sarebbero a disposizione?
Ce ne sono vari, partendo da Sirigu, avendo la possibilità di pensare a Pisano come esterno, Baldanzeddu che gioca in B, hai un tempiese di nascita come Caracciolo, hai Dimitri Bisoli, figlio di Pierpaolo, che è nato a Cagliari e che terrebbe a giocare in Sardegna, viste anche le dichiarazioni del padre.
Una rosa proporzionata alla dimensione del Cagliari?
Direi Aresti in porta, in difesa Pisano, Murru, Dametto, Del Fabro, Baldanzeddu, Caracciolo; a centrocampo Barella, Bisoli, Deiola, Burrai; in attacco Sau, Cocco, Mancosu, Cossu, Ragatzu. Una squadra da B che potrebbe giocarsi la serie A.
Cosa prenderesti dal Bilbao e porteresti a Cagliari?
Una cosa che farei immediatamente è evitare di vendere un giocatore a determinate società. Una clausola che io metterei per Barella, per esempio, è che se proprio lo devo vendere non lo do a una squadra italiana, ma a una squadra straniera. Perché non mi piacerebbe mai vederlo indossare la maglia della Juventus, dell'Inter, del Milan o della Roma, società che hanno sempre limitato la mia crescita comprandomi i giocatori più bravi per farli giocare contro il Cagliari. A quel punto, se proprio sono costretto, lo cedo a un club non concorrente.
Difficoltà evidenti quindi. Può però il Cagliari ritagliarsi almeno una via intermedia rispetto alla filosofia dell'Athletic?
È una questione di volontà. Matteoli, anche col suo centro sportivo a Palmas Arborea, ha sfornato giocatori che oggi militano tra i professionisti. Penso ad Aresti, Pisano, Murru, Del Fabro, Dametto, Deiola, Burrai, Barella, Sau, Cocco e Ragatzu. Se vogliamo, il settore giovanile era già riuscito a metter su un numero adeguato di giocatori professionisti.Che pensi di una politica di naturalizzazione dei giocatori acquistati?
Anche questo si può fare. Penso a due simboli in assoluto che sono di una sardità profonda, mi riferisco a Gigi Riva e Daniele Conti. Sono la dimostrazione che il processo di sardizzazione può avvenire. Se poi pensiamo ad altri giocatori che si sono sposati in Sardegna o che addirittura ci vivono, allora vuol dire che questa società e questa terra sono le loro. Faccio i nomi di Acquafresca, Suazo e Oliveira.
In base alla tua lunga esperienza, possiamo dire che i giocatori non sardi del Cagliari sentano di giocare in una sorta di nazionale?
Sì. Ci sono tre generazioni. Quella dello scudetto, quella di Mario Tiddia e quella del ‘92-‘93 con Matteoli, Pusceddu, Villa e Oliveira, proseguita con i vari Suazo, Abeijón e Muzzi, che non sarebbe mai andato via, e con López, che è rimasto, andata avanti con l'ultimo gruppo di Cossu e Conti. Infine Dessena, che avrebbe potuto andare in altre squadre e invece ha preferito restare a Cagliari. Quindi, secondo me ci sono tanti giocatori che hanno capito il valore della Sardegna e l'hanno sposato in pieno.
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