a cura di Alessia Andreon
Di lui mi hanno colpito subito l’allegria e la timidezza; è uno dei più bravi in Sardegna, tanto da avere una pagina a lui dedicata nella Enciclopedia della musica sarda pubblicata nel 2012 da L’Unione Sarda, ma lui stesso si definisce un artista silenzioso, che preferisce parlare con la sua arte. In tanti anni di attività ha collaborato coi i più grandi interpreti sardi e nazionali senza mai farsi sedurre dalle sirene del successo oltre mare. Alla carriera da solista affianca quella in duo con Emanuele Bazzoni,con il quale ha inciso il cd A ballare che dà il nome all’omonimo gruppo.
Raccontami di te, sei anche polistrumentista; hai imparato da solo?
Ho iniziato da solo, ma ho preso anche lezioni quando ero ragazzino. Il modo di insegnare prima era diverso: innanzitutto il maestro insegnava per amicizia e l’approccio era poco didattico; l’allievo cercava di imitare i passaggi che il maestro gli mostrava molto velocemente, non c’era la pazienza di far vedere i passaggi con calma per far capire quali fossero. Probabilmente si era anche più gelosi della propria arte; solo l’esercizio poteva aiutare ad imparare. Ora i miei alunni, che vanno dai 6 ai 70 anni, sono tutti tecnologici e perciò faccio registrare e filmare ogni passaggio, lo mostro a piccoli passi, perché imparino meglio; però mi piace la serietà nello studio.
Hai alunni di tutte le età, ma mi pare che siano poche le ragazze.
Sì, sono notevolmente meno, forse perché ci vuole un bel po’ di forza fisica. Qualcuna c’è ma sono ovviamente meno rispetto ai maschi.
L’organetto per noi sardi significa festa, socializzazione; per te cosa significa suonare in questi contesti e quanto la nostra società ha bisogno di riscoprire questa dimensione?
Da quando si son diffuse le scuole di ballo c’è stato un incremento anche nelle presenze sotto il palco. Il primo ad emozionarmi sono io. Vivo di musica e non riuscirei mai a suonare se non vedessi nel pubblico lo stesso entusiasmo che metto io nel suonare per loro: questo lavoro l’ho scelto per passione e quando suono non guardo mai l’orologio. Secondo me in ogni sardo è insita la passione per la nostra musica e basta sentirla riecheggiare per risvegliare la memoria. Non mi pesa affatto suonare. Quando ho una serata vado avanti per due o tre ore di fila; suonando tanto vengono naturali nuovi passaggi e ti rendi conto di quanto la musica sia infinita.
Cosa pensi si possa fare per promuovere nelle nuove generazioni uno strumento come l’organetto o le launeddas?
Le scuole di strumento sono importantissime. Mi dispiace che nella scuola civica di Oristano non ci sia un corso di organetto e di fisarmonica perché c’è molta richiesta; io ho alunni da tutta la Sardegna e sono stato il primo ad aprire una scuola di questo genere tanti anni fa a Macomer.
Vanti diverse collaborazioni, immagino che ti invitino spesso a suonare anche fuori dalla Sardegna…
Ho suonato con Elio e con Branduardi, ho avuto richieste anche per collaborazioni stabili e importanti, ma ho rifiutato. In Sardegna ho tutto il mio mondo: è così bella la vita qui, posso coltivare i miei interessi che sono tanti e devo dire che il lavoro non mi manca. Forse avrei potuto fare molto di più ma non mi pento di aver scelto di restare.