di Alessandro Cabiddu
Recentemente una ricerca palestinese ha affermato che l’acqua frizzante, oltre ai suoi diversi benefici, tenderebbe a far ingrassare.
Nello studio effettuato, un gruppo di studenti è stato diviso in due sottogruppi: entrambi hanno mangiato lo stesso cibo, ma ad uno è stato detto di bere acqua frizzante mentre all’altro acqua naturale; in seguito si è visto che gli studenti che hanno bevuto l’acqua frizzante avevano dei livelli più alti dell’ormone che stimola la fame, aspetto incrementato dall’anidride carbonica. Quindi l’aumento del peso non è dato direttamente dall’acqua (sia l’acqua frizzante che quella naturale non hanno calorie) ma da un aumento dell’appetito che essa scatena (basterebbe perciò un pò di autocontrollo); al contrario, l’acqua naturale riempie lo stomaco e quindi sazia maggiormente (non stimolando oltretutto l’ormone della fame). Questa interessante ricerca (il cui risultato è plausibile, ma che andrebbe approfondita, vista la presenza di studi che sostengono il contrario) può dare lo spunto per analizzare delle differenze tra i due tipi di acqua e sfatare falsi miti. Entrambe hanno la stessa capacità dissetante, ma la frizzante, stimolando maggiormente le papille gustative, tende a darci una sensazione di appagamento maggiore. L’acqua frizzante facilita, in parte, la digestione, ma questa azione non è così evidente, mentre è un dato di fatto che aumenta il contenuto di aria nella pancia (per la presenza di anidride carbonica); per questo è poco raccomandata in chi soffre di colite e disturbi gastrici (ulcera, gastrite, reflusso, acidità, ernia jatale).
Sia l’acqua naturale che quella frizzante sono definite “leggere” quando hanno un residuo fisso inferiore a 50 mg/l, povere di sodio e sali minerali (stimolano la diuresi), mentre quelle oligominerali non superano i 500 mg/l e sono adatte anch’esse ad essere bevute ogni giorno; se superano questo valore bisogna fare attenzione alla composizione, evitando di introdurre troppi sali minerali (in particolare in chi ha patologie cardiache/renali). Oltre i 1500 mg/l sono definite “curative” e andrebbero assunte con attenzione.
In generale, posto che entrambe le forme di acqua citate hanno lo stesso valore biologico, sarebbe meglio berne circa 2 litri al giorno, prevalentemente naturale, alternandola con quella frizzante, da assumere meno frequentemente (evitando così un eccessivo gonfiore gastro-intestinale e un reflusso gastro-esofageo), ad esempio per facilitare la digestione e ridurre il senso di “pesantezza” allo stomaco; per avere un’idea del quantitativo da bere si dovrebbero assumere circa 8 bicchieri di acqua 8 volte al giorno (13 in gravidanza), di cui 3-4 nella forma frizzante. Inoltre ogni persona, in base alla sua salute e alle patologie presenti, dovrebbe assumere un tipo di acqua piuttosto che un altro (almeno nella quotidianità). Facendo alcuni esempi: chi soffre di calcolosi renale o renella dovrebbe assumere anche più di due litri di acqua al giorno con un contenuto basso di calcio; chi soffre di osteoporosi deve assumere acqua con un contenuto di calcio superiore (senza esagerare per evitare di incorrere in problemi renali); in chi è stanco o in chi fa attività fisica (in cui si perdono molti sali minerali) un tipo di acqua con un buon quantitativo di sali può giovare, anche se l’importante rimane sempre e comunque reintrodurre i liquidi persi (partendo da una base di 2 litri di acqua al dì). Nel tempo si sono affermati diversi miti sull’acqua frizzante che bisogna sfatare: essa non danneggia i reni, non aggrava la stipsi, non aumenta la disidratazione, non rovina lo smalto dentale e non aumenta il rischio di osteoporosi; avrebbe, al contrario, effetti benefici sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari, sulla difficoltà nella digestione (dispepsia), sulla stipsi e sull’osteoporosi stessa. Uno studio italiano ha analizzato gli effetti dell’acqua minerale (naturale o frizzante), rispetto a quella della condotta idrica domestica, sul colesterolo: si è notato una riduzione del colesterolo totale del 7,5% e di quello LDL (il cosiddetto “cattivo”) del 12,5%. Un altro studio del 2012, dell’Università del Michigan, analizzando l’introito di liquidi in pazienti tra i 18 e i 64 anni, ha dimostrato che una buona idratazione riduce il BMI (l’indice di massa corporea) e, in prospettiva, chi è poco idratato ha un maggior rischio di diventare obeso. Bisogna ancora dimostrare l’importanza di un giusto introito di acqua giornaliero?
Photo credits: Bit Cloud, Alexis Pineaud