di Maria Bonaria Mura
L’arte di lavorare anonime lamine di rame grezzo trasformandole in rilucenti oggetti d’uso, lapias ramenosas, campanas brundas, timballas e concas e sartaghines, grecanas, per gli isilesi è un’arte antica alla quale non sanno dare né un preciso inizio nel tempo né un’origine certa.
Alcuni studiosi ne hanno attribuito l’origine a un gruppo di zingari profughi dalla Spagna; tesi suggestiva ma senza riscontro documentario.
Gli oggetti in rame trovavano mercato soprattutto nella pastorizia: caldai per la bollitura del latte da trasformare in formaggio, taniche per il suo trasporto, corredi domestici.
Con l’evolversi delle tecniche della lavorazione del latte, la nascita dei grandi caseifici e delle cooperative di pastori, gli utensili in rame sono andati in disuso.
A Isili, nel secolo scorso, erano attivi decine di ramai: le loro botteghe erano concentrate nelle strette vie del centro storico e il battere dei martelli che forgiavano e decoravano gli oggetti in rame si univa al ritmo dei telai in funzione nelle case isilesi. Cada corfu ‘e marteddu /allughia nu sole / e su drinnire /de una musica ‘e framas / prenebat sos ocros /d’unu mare ‘e isteddas.
Rame e tessuti erano volano dell’economia isilese, ma oggi l’unica bottega in cui si producono oggetti in rame battuto è quella di Luigi Pitzalis.
Luigi Pitzalis è una figura di ramaio particolare, esperto artigiano con una visione antropologica del suo mestiere di cui ha approfondito diversi aspetti a cominciare dal gergo tipico a sa romanisca recuperandone i vocaboli, cercando collegamenti con realtà similari fuori dalla Sardegna alla ricerca del legame che ha unito nel tempo questi artigiani.
Col suo linguaggio semplice e preciso ha raccontato ai soci della Unitre i risultati delle sue ricerche su sa romanisca e la sua vita di ramaio. Figlio e nipote di ramai artigiani e rivenditori, ricorda che il nonno viaggiava col solo cavallo, senza il tipico carro con la copertura di canne intrecciate, portando con sé il rame da vendere. Suo padre invece, segno del mutare dei tempi, viaggiava con un furgone e in coppia con un altro ramaio. Luigi era fiero di accompagnarlo nei suoi viaggi di paese in paese, di fiera in fiera, assaporando il fascino di una vita nomade, talvolta scomoda ma ricca di esperienze e di avventure. Dormivano da amici o conoscenti e così si intessevano relazioni di amicizia che si consolidavano nel tempo. Da adulto, dopo aver ultimato un corso di studi, il servizio militare e alcune esperienze lavorative in Continente, sente riaffiorare in sé il fascino dell’atmosfera respirata nella bottega del padre, i suoi primi tentativi di decorare il rame, i ricordi della vita nomade, e decide di apprendere le tecniche e i segreti della forgiatura e della decorazione del rame. Dapprima inizia la vita errante del rivenditore e solo dopo il matrimonio apre una sua bottega con i soldi donatigli dal padre.
Ricorda il suo maestro, Mario Coni, che gli ha insegnato tutti i segreti del mestiere facendo di lui un esperto artigiano. La sua curiosità intellettuale, il desiderio di conoscere luoghi e gente nuova e diversa, lo spingono a riprendere la vendita del rame andando, in estate, nelle fiere e nei luoghi di villeggiatura più noti.
Ricorda l’insegnamento del padre: “nella vendita mai tralasciare un paese, una via o un vicolo” approcciando tutti i ceti sociali. Ricorda il richiamo col quale segnalavano la loro presenza in un paese, riprovando quello che definisce, il piacere di urlare superata la timidezza iniziale: A chie si lea labriolas e braxeris, chie si cambia su ramene su ecciu cun su nou. Non si vendeva solo il rame nuovo, ma si riparavano oggetti danneggiati, si rinnovava la stagnatura deteriorata dall’uso.
Per i rivenditori comuni l’oggetto in rame aveva soltanto una valenza economica, vendevano oggetti standard e anonimi; Luigi, invece, sceglie con cura gli oggetti da produrre, con la sua sensibilità percepisce che i gusti e le esigenze di chi acquista il rame sono cambiati. Non si chiedono più oggetti d’uso, ma oggetti che nella forma e nella fattura racchiudano la storia e le tradizioni di un popolo. L’oggetto in rame assume una valenza culturale e diventa un prodotto di nicchia; segue questa via ma c’è in lui la voglia di innovare, di utilizzare la duttilità del rame nell’arredamento e nella decorazione di ambienti.
Elenca alcune sue creazioni: un pannello decorativo per un locale della Banca d’Italia a Nuoro, gli arredi della chiesa di San Massimiliano Kolbe a Cagliari, le cornici profilate con lamina di rame per importanti galleristi.
A chi gli chiede se la lavorazione del rame avrà un futuro, pensando ai figli che nella sua bottega imparano la sua arte, auspica che i giovani ne comprendano le attuali potenzialità e sappiano utilizzare gli strumenti delle tecnologie digitali e l’apertura di nuovi mercati nel mondo per non far cancellare dal tempo “ i saperi” di questa antica arte, e Isili possa continuare ad essere il paese dei ramai.
Il MARATE, Museo del RAme e del TEssuto, allestito nelle eleganti sale del restaurato convento dei padri Scolopi, la cui presenza costituisce un altro imprescindibile momento della storia isilese, racconta il lavoro degli artigiani locali, uomini e donne, e ne custodisce la memoria.