a cura di Mario Girau
In “regalo” un concerto del “Collegium Kalaritanum” eseguito nella cappella della Casa Provinciale delle Figlie della Carità il 29 giugno, doveroso omaggio a un protagonista della Chiesa sarda negli ultimi 70 anni. Sacerdote dal 16 dicembre 1951 (consacrante monsignor Paolo Botto) , vescovo dal 1975. E’ il terzo della nidiata sarda di sacerdoti ai quali il cardinale Baggio ha consegnato il pastorale: Giovanni Cogoni (Iglesias), Ottorino Pietro Alberti (Spoleto- Norcia), Pier Giuliano Tiddia (Ausiliare Cagliari), Salvatore Isgrò (Gravina-Acquaviva delle Fonti) Giovanni Pes (Ausiliario Oristano), Giovanni Pisanu (Ozieri), Antioco Piseddu (Lanusei), Giovanni Delogu (Ogliastra) Francesco Pala (Cassano allo Ionio). Nel 1985, Giovanni Paolo II mette “don Tiddia” – come lo chiamano i fucini e i laureati cattolici – per 20 anni alla guida della arcidiocesi di Oristano
Arrivato a 90 anni in buona forma (ogni giorno una breve passeggiata, santa Messa in casa, giornali, libri e televisione) chi si sente di ringraziare?
Dio prima di tutto. Ogni anno è stato un Suo dono. La maggior parte di questo tempo è stato speso nel ministero sacro, prima sacerdotale poi episcopale, per volontà della Chiesa.
Non sono mancati momenti belli e brutti…
Prete da meno un mese, il 13 gennaio 1952 ho avuto incidente stradale molto grave. Il Signore mi ha ridato la vita”.
Dopo 4 giorni nella clinica neurochirurgica dell’Ospedale Civile di Cagliari, si è risvegliato dal coma.
Io credo sia stata la grazia del Signore per intercessione di fra Nicola da Gesturi. Ho potuto concludere i miei studi e anzi continuare a fare il parroco a Villa san Pietro dove avevo avuto l’incidente. Sono misteri di Dio, che affiorano durante la vita. Altri momenti difficili sono stati la morte dei miei genitori: nel 1984 mio padre, mia madre nel 2007 quando ero ormai rientrato da Oristano.
Anche la vita di sacerdote non è stata sempre rose e fiori.
La vita del sacerdote deve trovare per forza difficoltà: perché i parrocchiani non rispondono, oppure il prete non è compreso dalla gente nel suo operare, viene criticato per una cosa o per l’altra. Dico sinceramente: non mi preoccupo e non riuscirei neppure a ricordare le volte in cui sono stato contestato. Accetto le prove che ho avuto, ma ringrazio il Signore per le tante gioie che mi ha dato. Sono state molto più numerose delle delusioni.
Lei ha partecipato in modo attivo alla venuta di 4 pontefici. Come ha vissuto quelle esperienze?
Sono stati momenti indimenticabili. Il primo, nel 1970, non ero ancora vescovo. Rivivo la cordialità di Paolo VI: l’abbraccio davanti a tutti, all’ingresso del seminario di cui ero rettore, prima di salire in macchina per andare in aeroporto. Il 18-19-20 ottobre 1985 la venuta di Giovanni Paolo II. L’ho accolto all’aeroporto di Decimomannu, insieme col presidente dei vescovi sardi, monsignor Spanedda, e all’arcivescovo Giovanni Canestri. Qui a Cagliari ho cenato con lui, in episcopio, poi la mattina in cappella ho pregato con lui.
Benedetto XVI nel 2008.
Papa Ratzinger è venuto in risposta a un mio invito. Quando sono stato presidente della Conferenza episcopale sarda, gli scrissi una lettera per invitarlo a benedire il nuovo seminario teologico. Il Papa accettò anche se non subito. Nel 2013 la venuta di papa Francesco: un viaggio fatto nei primi tempi del suo pontificato, per ricordare il legame tra Buenos Ayres e Bonaria. Nella capitale argentina nel 1980 avevo rappresentato la nostra diocesi in occasione del quarto centenario della fondazione della città sudamericana.
Lei è il più anziano dei vescovi sardi. L’anno venturo sarà il 45.mo di ordinazione episcopale. Che cosa la preoccupa oggi nella Chiesa sarda?
Non dimentichiamo soprattutto il nostro passato, non solo remoto, ma anche prossimo: il Concilio plenario sardo, che ha compiuto quasi 20 anni,è ormai dimenticato. Io dico che va ripreso e studiato. Come non possiamo dire di conoscere tutto e di applicare per intero il Concilio Vaticano II, così dobbiamo dire del nostro Concilio sardo. E’ voce della nostra Chiesa, e poiché cerchiamo spesso uno spunto o appunto programmatico o pastorale al nostro operare, qualche volta prendiamolo dal Concilio Plenario sardo, e cominciamo da quello.
Torniamo al 1986 quando lei e i vescovi Giovanni Canestri e Lorenzo Isgrò decideste di convocare il Concilio Plenario Sardo. Oggi lo rifarebbe?
Dare una risposta così non ha senso. Bisogna chiedere il parere alle diocesi sarde se lo vogliono in questo momento e in quale modo di viverlo. Oggi ci sono più facilitazioni per fare un lavoro più spedito di contatto, comunicazione, informazione. L’unione tra le chiese sarde non è mai troppa e deve sempre crescere. Chiamiamola concilio, congregazione, assemblea, adunanza, discussione. I temi non devono essere esaminati nel chiuso di ogni diocesi. Si crei unità. Anche per tener conto del fatto che le popolazioni oggi si spostano molto più che nel passato. Non si è cristiani solo perchè si conosce una chiesa, ma perchè si vive una chiesa.
Cioè è opportuno, secondo lei, che le diocesi sarde su alcuni temi marcino più unite?
Si deve tener conto anche della prospettata diminuzione/riorganizzazione delle diocesi. Questo crea l’impegno di lavorare perchè sia un’operazione fatta bene, coi tempi necessari, tenendo conto che si tratta di realtà ecclesiali oltre che civili, sociali. Non è possibile pensare di poterla realizzare in due giorni. E’ richiesta fin da adesso una collaborazione interdiocesana forte e frequente.
Tra le esperienze realizzate a Cagliari e poi a Oristano per 20 anni. Quale ritiene sia da evidenziare?
L’incontro con le scuole. L’ho fatto con gioia. E’ un modo per iniziare un dialogo con le giovani generazioni. Come fatto durante l’insegnamento della religione al liceo.
Mi aiuta ad avvicinarmi a loro. Mi capitano tanti casi di persone che dicono: lei mi ha cresimato oppure lei mi ha sposato. Questo contatto dobbiamo farlo fruttificare e progredire.
Da vescovo ausiliare ha pubblicato un volume con le omelie della domenica. Perché le omelie di oggi non parlano al cuore e della vita?
Questo è stato sempre importante. Se l’omelia non riesce a comunicare lo spirito e il senso del Vangelo, serve a poco.
Altrimenti è nozionismo, un notiziario, una breve passata. In questi casi la predica, che non deve mai essere lunga, è meglio che sia ancora più breve. Bisogna sempre cercare la viva comunicazione con i fedeli presenti, molti o pochi che siano. Quando ci sono poche persone , non bisogna dare l’impressione che siano quasi tollerate. Che si va sull’altare per far loro un favore. Dobbiamo far capire che quella celebrazione è tutta per loro, per ciascuno dei presenti.
Rettore del seminario diocesano, del regionale per un breve periodo. Da vescovo, responsabile della formazione e della vocazione dei sacerdoti. Che cosa sentiva quando un prete le diceva: basta, smetto di fare il prete.
Provavo certamente un dispiacere. Qualche volta anche un giusto riconoscimento: «Finalmente ha deciso di andarsene». Ma in generale, se uno ha sentito la chiamata, questa chiamata può perderla. Se ha sentito la voce di Cristo che gli ha parlato al cuore, deve stare attento che dall’altro orecchio non entri qualche altra voce che fa dimenticare quello che Cristo ha suggerito e tu hai ascoltato
Un pensiero ritorna in questi giorni…
Sì, ringraziare tutti. In particolare i sacerdoti. Se mi hanno fatto pesare qualche cosa, io dovevo comunque aiutarli a camminare e a non sbagliare. Questo richiede al vescovo molta calma, molta prudenza, molta preghiera e molta fede.
Questi laici non diventano mai corresponsabili nella Chiesa? Colpa dei laici o dei preti restii a fare spazio?
I laici, se aiutati dando loro fiducia, partecipano. Bisogna avere e dare loro molta fiducia. Se si mettono in un codazzo che segue e batte le mani, questo non ha significato. Devono essere aiutati ad assumere responsabilità e ad avere il coraggio di esprimere le proprie opinioni, di fronte a tutti.
I consigli pastorali e per gli affari economici servono o sono tappezzeria?
Sicuramente servono moltissimo. Non è facile farli funzionare bene. Chi li istituisce deve dare chiare indicazioni. Non basta dire «varo qualcosa», se poi si mettono limiti. Certo c’è la parola del Vangelo che dice “ Seguite me”. Ma seguire Gesù non vuol dire certo stare comodi
Che cosa ama di più della Chiesa sarda?
Amo la costanza nei principi, che purtroppo in altre chiese sono quasi scomparsi. Non è che non esistano più, ma la partecipazione dei cristiani, di quelli che dovrebbero essere cristiani, è rara e molto superficiale. Qui in Sardegna è vera e sincera.
La preghiera che lei dice ogni sera
Prego per i fedeli che mi sono stati affidati e che ho conosciuto nel mio sacerdozio, prego per i confratelli vescovi che hanno penato in tante cose. Stasera ho visto l’ultima assemblea dei vescovi italiani col Papa, la numero 73. Io sono entrato che eravamo alla 12ma. Ho la documentazione su tutte. Quanti programmi fatti, quante cose realizzate. Anche cose non fatte che bisogna ricominciare a fare.