di Giulio Gaviano
Durante l’estate erano passati i venditori di sale a vendere sa saoca, il sale di grana media che serviva a conservare i cibi. Il maialeda piccolobeveva il latte, poi mangiava pappette di farina, crusca e fave secche. Da grande si nutriva di fichi d’india, avanzi della tavola e sa oiota, il siero della ricotta. Se era procu de barra bella mangiava di tutto. Una ventina di giorni prima della macellazione, per rendere la carne più tenera e dolce, gli davano da mangiare ceci. Ovviamente, il maiale macellato non si poteva consumare tutto in una volta, per cui si mangiavano prima le parti fresche, come gli organi interni, regalando anche piatti a parenti e amici (is mandadas). Il resto si conservava e alcune parti duravano tutto l’inverno. Il grasso colato serviva per fare is pillus fritus a carnevale. Sa petza imbinada si fa con la polpa magra, lasciata a macerare nel vino, un poco d’aceto, sale e semi di matafaluga (finocchietto selvatico). Oggi alcuni ci mettono il pepe. Considerati gli ingredienti, è possibile che questo piatto faccia parte della tradizione sarda da millenni. Se pensiamo che nel condaghe di Santa Maria di Bonarcado si parla di un tale Troodori Paganu maiore de vino ovvero un funzionario per il vino, e poi di peza porcina, la sensazione è che sa petza imbinada possa essere nata allora,nel XII secolo, come suggerisce l’antropologa Alessandra Guigoni.
Bonarcado dunque, potrebbe essere il luogo dove è nata sa petza imbinada. Comunque, il fascino del centro storico del paese, le architetture medievali, il paesaggio intorno, i prodotti locali, i saperi custoditi dalla popolazione sono già una ricetta di successo.
Ad accompagnare la festa ci saranno suonatori e cori che per tutta la giornata riempiranno le strade del paese con i canti e le musiche del territorio. Durante la sagra sarà possibile scoprire e conoscere da vicino la storia di Bonarcado e dei suoi monumenti camminando per il paese in una passeggiata guidata.