Ci sono vocazioni che nascono nel silenzio, altre nella storia intrecciata di due persone. Quella di Michele ed Emanuela, fondatori dell’Accademia Santu Jacu la cui sede è a Ussana, appartiene a entrambe.
Lui, fin da bambino, cercava nell’arte un linguaggio capace di dare forma all’invisibile; lei trovava nella musica un varco verso ciò che risuona oltre le note. L’incontro con l’iconografia non è stato per loro un semplice interesse, ma una chiamata profonda, una porta aperta verso Dio.
Michele, durante gli studi teologici e i viaggi al Monte Athos, ha compreso che l’arte poteva diventare preghiera, un dialogo che attinge alla Tradizione e la rende visibile. Emanuela ha scoperto che quella luce poteva diventare un cammino comune, fino a trasformarsi nel cuore del loro matrimonio.
Abbiamo scelto di sposarci e condividere un unico progetto di vita nella dimensione familiare, artistica e spirituale perché, per noi, queste realtà non possono essere separate. Condividiamo la stessa vocazione, perciò è naturale che diventi parte integrante del nostro matrimonio, spiegano.
Portare avanti questa scelta non è stato semplice: hanno costruito la loro scuola senza sostegni economici, rinunciando a molto e affidando tutto alla Provvidenza. Ma proprio lì, nelle fatiche quotidiane, sono nati i frutti più luminosi: La più grande gioia è vedere come il nostro impegno diventi fecondo, quando un allievo scopre la preghiera attraverso l’iconografia, quando una persona trova pace o luce davanti a un’icona, quando il laboratorio diventa per qualcuno un luogo di incontro con Dio. È in quei momenti che comprendiamo che i sacrifici hanno un senso, affermano.
Perché, come ricordano, un iconografo è servitore del Mistero. La loro vita quotidiana scorre nel ritmo dell’ora et labora, uno stile che si intreccia alla casa, alle decisioni, alle prove. Il matrimonio, così vissuto, diventa un’icona vivente: un luogo dove la contemplazione prende corpo nei gesti semplici, nell’ascolto reciproco, nella fedeltà alla chiamata ricevuta.
Tra i frutti più preziosi del loro cammino c’è una storia che custodiscono come un’eredità spirituale. Una giovane donna, gravemente malata, frequentò la scuola negli ultimi mesi di vita. Disegnò il volto di Cristo ma non riuscì a completarlo. A chi la incoraggiava rispose soltanto: Lo finirò in Paradiso.
Quel sorriso, raccontano, ha insegnato loro più di molti trattati di teologia: l’icona è un cammino verso il Volto, non un oggetto da portare a termine: non mostra l’uomo nella sua fragilità ferita, ma l’uomo trasfigurato dalla luce di Cristo. Accanto a lei, negli anni, tante altre persone hanno trovato nell’iconografia una via di guarigione: sposi feriti, artisti in ricerca, uomini e donne con pesi invisibili.
Nel laboratorio alcuni hanno ritrovato la fede, altri la pace, altri ancora la capacità di leggere la propria storia con occhi nuovi. È forse qui che la vocazione di Michele ed Emanuela mostra la sua verità più profonda: generare vita. Oggi il loro sogno è dare vita a un centro di spiritualità dell’iconografo: un luogo di silenzio, ritiri, ascolto e lavoro interiore.
Il primo passo è già realtà con l’Eremo degli Artisti, una stanza semplice dove chi arriva può fermarsi, respirare, ritrovare Dio. Il resto lo lasciano alla Provvidenza. In un’epoca veloce e frammentata, l’icona rimane un forte invito alla profondità, un ponte tra cielo e terra, una luce che non abbaglia ma accompagna.
È questo il frutto più grande della loro vocazione: mostrare che la bellezza non è ornamento, ma una grazia che salva, guarisce, ricompone. Perché quando Dio chiama, la vita non diventa più semplice: diventa piena. Un consiglio per le giovani coppie in cammino? Custodite questa chiamata nella preghiera. Prima di fare scelte concrete, fermatevi. Pregate insieme. Chiedete a Dio di chiarire cosa desidera donarvi attraverso questo cammino. Perché se una vocazione è vera, nasce sempre davanti a Lui.
Valentina Contiero, pubblicato su L'ARBORENSE n. 42 del 7 dicembre 2025
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